Le disposizioni individuano obiettivi da raggiungere per il miglioramento degli standard energetici. La riqualificazione del patrimonio italiano deve fondarsi su principi sostenibili dal punto di vista ambientale, economico e sociale
Il settore dell’edilizia è strategico per conseguire gli obiettivi dell’UE in materia di energia e clima per il 2030 e il 2050: in Europa, gli edifici sono responsabili del 40% del consumo energetico e del 36% delle emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra. Per conseguire la neutralità climatica entro il 2050 e diminuire i costi delle bollette energetiche che stanno incidendo nelle vite dei cittadini europei, il 15 dicembre 2021, la Commissione europea ha pubblicato una proposta di direttiva sull’efficienza energetica degli edifici. Lo scopo della direttiva è orientare il settore delle costruzioni in modo che tutti gli edifici nuovi siano a emissioni zero entro il 2030 e che tutti gli edifici esistenti siano oggetto di interventi di riqualificazione per diventare a emissioni zero entro il 2050. La proposta di direttiva è stata approvata dal Consiglio dei Ministri dell’Energia, il 25 ottobre, con voto favorevole del Ministro Picchetto Fratin. Ora è al vaglio del Parlamento europeo che sta elaborando la propria posizione negoziale, in seno alla Commissione industria, energia e ricerca (cd. Commissione ITRE). Stiamo dunque parlando non di una norma europea già approvata, ma di una direttiva ancora in fase di approvazione. Discuterne in questa fase è estremamente utile: per l’impatto che essa avrà sul tessuto economico e sociale italiano e per tutelare i nostri interessi nelle sedi istituzionali europee. Questo è un tema culturale importante: quando parliamo di politiche europee, non stiamo parlando di politiche estere, ma di politiche interne. Oltre il 70% della normativa italiana non è altro che la trasposizione di obblighi già assunti nel quadro dell’UE. Dunque, se si vuole esercitare consapevolmente la sovranità nazionale bisogna saperlo fare nel contesto europeo, nel momento in cui si stanno assumendo decisioni che cambieranno il nostro futuro. La proposta di direttiva europea sulle case green impatterà su un bene sacro per tutti gli italiani: la casa.
Quali sono le novità che verranno introdotte dalla nuova normativa europea?
In estrema sintesi, le principali disposizioni individuano obiettivi temporali da raggiungere per il miglioramento degli standard energetici degli edifici, distinguendo tra edifici di nuova costruzione e interventi di riqualificazione. Per gli edifici residenziali esistenti, gli Stati membri hanno convenuto di fissare norme minime di prestazione energetica sulla base di una traiettoria nazionale in linea con la progressiva ristrutturazione del loro parco immobiliare per renderlo a emissioni zero entro il 2050, come indicato nei loro piani nazionali di ristrutturazione edilizia. La traiettoria nazionale indica il calo del consumo medio di energia primaria dell’intero parco immobiliare residenziale durante il periodo 2025-2050, in modo da tenere traccia dei risultati conseguiti dai singoli Stati membri. Entro il 2030 il consumo medio di energia primaria dell’intero parco immobiliare residenziale dovrebbe risultare equivalente almeno alla Classe E, entro il 2033, alla classe energetica D, entro il 2040, a un valore determinato a livello nazionale derivato da un graduale calo del consumo medio di energia primaria dal 2033 al 2050 in linea con la trasformazione del parco immobiliare residenziale in un parco immobiliare a emissioni zero.
Gli Stati membri hanno convenuto di aggiungere agli attuali attestati di prestazione energetica (che ora vanno da G ad A) una nuova categoria “A0” che corrisponde agli edifici a emissioni zero (passive house) e avranno la facoltà di aggiungere una nuova categoria “A+” corrispondente agli edifici che, oltre a esser edifici a emissioni zero, offrono un contributo alla rete energetica da rinnovabili in loco (plus-in-house). La direttiva impone degli obblighi di risultato in capo agli Stati membri, lasciandoli liberi di scegliere i mezzi più opportuni per raggiungere i traguardi condivisi. Qui arriva la politica. Scegliere “come” fare, non stilare un elenco di buoni propositi e buone intenzioni. Negli ultimi anni la politica italiana ha cambiato 23 volte la norma relativa ai bonus dell’edilizia, generando un sistema caotico che ha determinato un aumento incontrollato dei prezzi delle materie prime e, più in generale, ha costretto il settore dell’edilizia a vivere nella “dittatura dell’emergenza”. Tutti gli operatori del settore avrebbero avuto invece bisogno di una politica industriale nell’edilizia, con un arco temporale medio (2030) e lungo (2050) per poter avere certezza degli investimenti e programmare ordinatamente gli interventi. Nonostante i propositi dei governi precedenti di rianimare un settore in crisi da anni e riqualificare il patrimonio residenziale pubblico e privato, gli interventi sono stati fallimentari. Il “Bonus facciate” è stato un volano di frodi fiscali: dalle audizioni della Guardia di Finanza nella Commissione Bilancio in Senato sono emersi 3,6 miliardi di euro di frodi accertate, lasciando presagire una dimensione del fenomeno elusivo ancora più grande. Il “Superbonus” nel 2022 ha impiegato 68,7 miliardi di risorse statali: più del doppio dello stanziamento previsto di 33,3 miliardi di euro. Pur avendo avuto rianimato un settore in crisi, con un impatto importante in termini di gettito fiscale prodotto e in termini occupazionali, con un aumento del numero degli addetti pari a circa 1 milione di lavoratori, il Superbonus ha determinato un’inefficace allocazione della spesa pubblica, perché a fronte di una mole enorme di risorse pubbliche investite ha generato miglioramenti effettivi dal punto di vista energetico e (ancor meno) dal punto di vista del consolidamento antisismico, solo su una piccola percentuale del patrimonio edilizio. Se utilizzassimo i parametri dei precedenti bonus, per riqualificare il patrimonio residenziale italiano, nel senso previsto dalla normativa europea, non basterebbero 1.300 miliardi di euro: quasi la metà dell’intero debito pubblico italiano! È del tutto evidente che bisogna intraprendere una strada nuova: la direttiva sull’efficienza energetica degli edifici può essere l’occasione per ripensare globalmente il sistema edilizio in Italia. I target previsti dalla direttiva UE possono essere raggiunti sulle nuove costruzioni. Ma pensare di raggiungere gli obiettivi di adeguamento sulle riqualificazioni del patrimonio immobiliare esistente, senza garantire un margine di flessibilità, e senza garantire un fondo sociale green volto ad accompagnare la transizione per le fasce più deboli della popolazione, rischia di cagionare una perdita di valore degli immobili italiani e, di conseguenza, l’impoverimento generale delle nostre famiglie. Il pericolo va scongiurato attraverso strumenti e normative chiare e definite, che consentano il perseguimento di obiettivi realistici, anche attraverso la previsione di incentivazioni – concordate e finanziate a livello europeo – volte ad accompagnare la transizione ecologica. Per questo la politica ha l’occasione di uscire dalla logica dei bonus (a termine) e della gratuità (a carico della fiscalità generale) e imboccare la strada di una nuova politica industriale per avere strumenti economici e finanziari condivisi al fine di adottare un Piano di Edilizia 4.0 con la detrazione fiscale e un sistema regolamentato, al livello nazionale ed europeo, per la cessione dei crediti fiscali generati dall’adempimento della direttiva sulle case green, senza la possibilità di creare un sistema di “crediti fiscali incagliati” come quelli che oggi si trovano a fronteggiare moltissime PMI del settore, a rischio di fallimento. Una nuova politica industriale nel settore dell’edilizia è fondamentale per disegnare una traiettoria nazionale credibile, in linea con la progressiva ristrutturazione del parco immobiliare: il sostegno finanziario per gli interventi di riqualificazione deve avere carattere di selettività per rendere prioritari gli interventi in abitazioni residenziali con i redditi ISEE più bassi, su edifici immobiliari che risultano più inquinanti (classe G), e poi salire di classe energetica, seguendo i criteri temporali previsti dalla normativa europea. Per fare questo è necessario coinvolgere sin da subito il sistema bancario, creditizio e assicurativo. Del resto, l’eventuale inadempimento degli obblighi previsti dalla direttiva porterebbe non solo all’avvio di una procedura d’infrazione nei confronti dello Stato, ma a una pesantissima svalutazione del patrimonio immobiliare detenuto direttamente e indirettamente non solo dagli italiani, ma da tutto il sistema bancario, creditizio e assicurativo. In conclusione, la riqualificazione del patrimonio edilizio italiano deve fondarsi su obiettivi sostenibili dal punto di vista ambientale, economico e sociale: solo così la transizione ecologica non verrà percepita come un’imposizione ideologica, ma può diventare un passaggio condiviso, un investimento per il presente e per le generazioni future, con obiettivi realistici per conseguire il livello ottimale in funzione dei costi.
Articolo estratto dal Periodico Confabitare
Si ringrazia
Senatore Marco Lombardo